LA FORTIFICAZIONE “ALL’ITALIANA” (parte prima)
Tratto da: Gianluca Padovan, Forse non tutti sanno che a Milano…, Newton Compton, Roma 2016.
… S’inventa la “fortificazione all’italiana” detta anche “alla moderna”
Anche questa, annunciata nel titolo del capitolo, parrebbe una “sparata” bella e buona! Stavolta vado sul sicuro e cito Amelio Fara, il quale comincia a dissipare i vostri dubbi con la seguente frase: «Dal 1453, l’anno in cui l’Occidente perde Costantinopoli, alla fine del secolo, quando i turchi risultano cacciati dalla Spagna, formulano elaborazioni teoriche innovative d’architettura fortificata il Filarete, Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo e Leonardo».
Il primo e l’ultimo, toscani, vivono e lavorano a Milano per un certo periodo. Tralasciando il Maestro, ovvero Leonardo da Vinci, in quanto le sue opere militari sono discretamente note, parliamo invece del Filarete.
L’architetto e scultore Antonio Averlino, o Averulino, detto “il Filarete” (Firenze 1400 – Roma 1469 circa), lavora nella bottega di Lorenzo Ghiberti e partecipa alla fusione in bronzo di una delle porte del Battistero di Firenze. Successivamente a Roma scolpisce e fonde i battenti bronzei a grandi pannelli della porta centrale della basilica di San Pietro in Vaticano, su commissione di papa Eugenio IV.
Nel 1451 è a Milano, alla corte del duca Francesco I Sforza e per lui partecipa all’erezione della porta-torre del Castello di Porta Giovia, la quale ancor’oggi mantiene il suo nome. Siete già passati dal Castello e guardandola vi sarà parsa imponente, ma meno usurata dal tempo e dalle cannonate, perché quella originaria è andata distrutta nel 1521, esattamente un secolo dopo; l’architetto Luca Beltrami l’ha fatta ricostruire nei primi anni del Novecento. Ma questo, probabilmente, lo sapevate già.
Quello che io stesso tendo a dimenticare è che tra il 1458 e il 1464 il Filarete compone il Trattato di Architettura, in venticinque libri, dedicandolo a Francesco Sforza; in un secondo momento ne dedica copia anche a Pietro de’ Medici. Immagina che un architetto, nel quale egli stesso s’identifica, illustri ad un signore, rappresentato dallo Sforza, come si procede nell’edificazione di una città perfetta, difesa da mura e chiamata Sforzinda.
Eccone le parole: «Sì che io intendo adesso principiare il disegno della sopradetta città, il quale disegno appellerò “Averliano”, e la città appelleremo “Sforzinda”, la quale edificheremo in questa forma». L’architetto ha composto pagine su pagine descrivendo puntualmente ogni parte della mirabile città, tanto da far pensare, almeno al sottoscritto, quanto si sia distanti da una “città ideale”, nonostante ci separino da allora mezzo migliaio di anni e una acquisita tecnologia che non ha certo migliorato la qualità della vita metropolitana.
Ed è così che Filarete “inventa” anche la fortificazione a fronte bastionato dando avvio ad una nuova concezione delle opere di fortificazione che in Europa vengono chiamate “all’italiana” o anche “alla moderna”. La Sforzinda ha una cintura difensiva a pianta stellare con otto punte, progenitrice delle fortificazioni bastionate che si perpetueranno fino a tutto il XVIII secolo, con riprese anche nel successivo. Il sistema fortificato del Filarete è frutto dell’intersezione a 45° di due quadrati, un po’ come il “quadrato magico” degli Esseni, ma inscritto in un duplice cerchio costituente il fossato, considerando la sua scarpa e la controscarpa.