Il Centro di Milano: Piazza dei Mercanti
Due passi nel Centro di Milano. Nell’antica Piazza dei Mercanti, accanto a Piazza del Duomo, vi è un edificio lasciato da decenni “sotto tono” e denominato “Palazzo della Ragione”.
Si tratta della più rappresentativa architettura cittadina dopo la Cattedrale Metropolitana della Natività della Beata Vergine Maria, ovvero il Duomo, e il Castrum Portae Jovis Mediolani, ovvero il Castello visconteo-sforzesco. Su Piazza dei Mercanti e i suoi edifici ci sarebbe da scrivere una mezza dozzina di volumi, ma voglio stringere il campo al solo edificio che la caratterizza.
Il Palazzo della Ragione, un tempo noto con il nome di Broletto Nuovo, è stato fatto costruire tra il 1228 e il 1233 sul sedime del Monastero di Santa Maria Lentasio. Tanto per la Mediolanum medievale, quanto per la metropoli attuale, è un edificio di spicco e si compone di un pianterreno rettangolare innalzato, sul quale poggiano i pilastri che sorreggono il primo piano ornato di trifore. All’interno si sono conservati lacerti d’affreschi medievali che meriterebbero più attenzione e, perché no, pure di un’adeguata valorizzazione. Nel 1771 si aggiunge un secondo piano da destinarsi a sede dell’Archivio Notarile.
Ma, in buona sostanza, di che cosa si tratta?
In primo luogo la parola “broletto” è diminutiva di “brolo” (o broilo), e un tempo indicava l’orto o il frutteto, generalmente cinti da muro o da siepe. Successivamente, soprattutto nell’Italia del nord, tale parola è stata usata per indicare il palazzo municipale. Difatti «Il passaggio a questo secondo significato si determinò a Milano, dove in un broletto (che occupava l’area dell’odierno Palazzo reale) si amministrò la giustizia fin dal sec. 11°; il nome, passato al Palazzo dei consoli, ivi costruito, indicò quindi il palazzo municipale, estendendosi anche ad altre città, come a Como, a Monza, a Brescia» (Istituto della Enciclopedia Italiana, Vocabolario della Lingua Italiana, Vol. I, Roma 1986, p. 525).
Il classico broletto d’epoca medievale presenta ben precisi connotati difensivi, come l’essere sopraelevato su colonne e quindi non immediatamente assaltabile da una folla sobillata, nonché il possedere un unico accesso, sempre sopraelevato, generalmente costituito da una stretta scalinata a più rampe.
In secondo luogo (ma qui non ve ne parlo per motivi di spazio) la costruzione è posta all’incrocio di due antichi assi viari ed è il vero “Centro di Milano”: magari sarà il tema di un prossimo articolo.
Echi del passato tra eretici (o presunti tali) e roghi
Il lato che s’affaccia sulla piazza, in cui campeggia il puteale di un pozzo (un tempo situato altrove, ma nelle vicinanze), reca l’Oldrado da Trasseno a cavallo all’interno di un’edicola con aquila dipinta nella lunetta superiore; probabile opera della scuola di Benedetto Antelami, è stato qui collocato dal Comune nel 1233.
Al di sotto l’epigrafe in latino recita: «MCCXXXIII D[omi]n[u]s Oldrad[us] de Trexeno pot[estas] Mediolani».
E appena al di sotto una seconda epigrafe ricorda e ammonisce: «Nell’anno del Signore 1233, al podestà di Milano Oldrado da Tresseno. Quando passi per i portici regali del grande palazzo, tu ricorderai sempre i meriti del podestà Oldrado, cittadino di Lodi, difensore della fede e della spada, che costruì il palazzo e bruciò, come doveva, i Catari».
Sul fatto che avesse il potere di mandare a morte sul rogo coloro che venivano considerati eretici, come Arnaldisti, Catari, Patarini, Speronisti ecc., alcuni avanzano dubbi. Sia come sia i “contestatori” dell’epoca non erano certo trattati con i guanti e un caro amico di Oldrado da Tresseno è lo zelante inquisitore domenicano Pietro da Verona (Verona 1205 – presso Seveso 1252). Nel 1232 papa Gregorio IX lo invia in Lombardia per reprimere, appunto in qualità d’inquisitore, la dottrina catara. Nel 1252 papa Innocenzo IV emana la bolla Ad Extirpanda, con la quale ingiunge ai tribunali della Santa Inquisizione di eseguire entro pochi giorni ogni sentenza. In questo conteso il 6 aprile 1252 nel bosco di Barlassina un gruppo di persone capeggiate da Stefano Confalonieri gli tende un agguato e fa fare una brutta fine a lui e al suo seguito. L’anno seguente Pietro da Verona è dichiarato santo e patrono dell’Inquisizione dallo stesso Innocenzo IV.
Oggi la statua di “San Pietro Martire”, a lui dedicata, con tanto di coltellaccio conficcato nella testa, si può vedere nel piazzale antistante la basilica di Sant’Eustorgio, lungo il corso di Porta Ticinese, laddove un tempo l’Inquisizione aveva la sua prima sede milanese.
Testimonianze d’epoca romana
Ma torniamo sui nostri passi, al Palazzo della Ragione. Guardandolo con un po’ d’attenzione si può notare che la parte inferiore ha i conci non tutti cavati a bella posta per costruire l’edificio. La gran parte, o forse la totalità, proviene dallo spoglio d’altri edifici, alcuni dei quali senza dubbio d’epoca romana.
Sollevando lo sguardo lungo l’angolo sud-est possiamo vedere i resti di un’epigrafe posta orizzontalmente, di cui si legge bene la sola prima riga: «DMVI». La facciata sud presenta un concio d’arco in marmo bianco da cui è stata scalpellata via una figura e una seconda epigrafe, parzialmente coperta dal tubo di scarico di una grondaia. Inoltre, tra due archi, parzialmente coperta da una chiave d’epoca in ferro e un altro tubo di scarico, vi è una bella pietra chiara orizzontale, con quattro formelle che non vi sto a descrivere, così vi viene voglia d’andare a vederla.
Giriamo ancora attorno ed ecco, all’angolo nord est, un altro frammento d’epigrafe su marmo bianco, posto orizzontalmente, ma perfettamente leggibile: «CATILIUSCI… / SECVNDVS / SIBI ET / VALERIAE-P-L-CROCIN… / VXORI-SVAE ET / IVVENI-VERNAE-SVAE / VIXITANNOS-X».
Il Cinghiale assurto a simbolo della “Milano Celta”
Se completiamo il giro e ci posizioniamo davanti all’ultimo lato, quello nord che dà su via Mercanti, possiamo osservare quella che molti chiamano “scrofa semilanuta”, ovvero il supposto simbolo di Milano.
Appena al di sopra dell’imposta dell’arco vediamo che non vi è un solo concio a formare l’intradosso, ma laterizi e più elementi lapidei, quattro dei quali in marmo bianco e del medesimo tipo, segno che in origine vi era almeno una lastra più grande con bassorilievi, poi spezzata, sagomata e reimpiegata. Uno di questi, il più grande, reca un foro quadrato e sotto un animale di profilo.
Visto così dal basso qualcheduno ha sostenuto che si tratti di un “maiale semilanuto”, ovvero del classico maiale selvatico, senza le mammelle. Ad un altro pareva un lupo accucciato. Ognuno vede un po’ ciò che vuole e per risolvere la faccenda vi suggerisco di dargli un’occhiata col binocolo oppure di fare una bella foto e di osservarla a casa sullo schermo del computer, così la potete ingrandire a piacimento cogliendo i dettagli con tutto comodo.
Innanzitutto il corpo della bestia è completamente ricoperto di abbondante pelame, con vistosi ciuffi. Pertanto non è “lanuto per metà”. Dalla fronte sfuggente al collo e nella parte inferiore del dorso ha due belle creste di setole folte e irte. Ha persino un bel ciuffo di peli sotto la mandibola, da cui fuoriesce una zanna, consumata dal tempo e dalle intemperie.
Altro che “scrofa semilanuta”! Questo è un cinghiale “alla lestra”, ovvero con le terga a terra e il muso levato in posizione di difesa, come fanno questi animali quando sono attaccati e circondati dai cani da caccia.
Ma non è tutto: nel tempo qualcheduno ha sostenuto che il nome della citta, “Mediolanum”, derivasse non già dalla sua posizione geografica, ma da una onirica “scrofa lanuta per metà”.
Per quanto riguarda il nome della nostra città già Bonvesin da la Riva ci dice qualche cosa a proposito: «Considerata in rapporto alla sua posizione, la nostra fiorentissima città è famosa perché situata in una bella, ricca e fertile pianura, dove il clima è temperato e fornisce tutto quanto è necessario alla vita umana, tra due mirabili fiumi equidistanti, il Ticino e l’Adda: non senza ragione essa assunse il nome di Mediolanum, come a dire che si trova come una lingua in mezzo ai fiumi» (Bonvesin da la Riva, Le meraviglie di Milano – De magnalibus Mediolani, Bompiani, Milano 1997, p. 43, I, I).
Difatti se Mediolanum (o Mediolanium come scrive Tito Livio), non vuol dire esattamente “terra di mezzo”, secondo i toponomasti è «una formazione celtica composta con medio– ‘(in) mezzo’ (cfr. latino medius) e lanum che equivale al latino planum ‘piano; pianura’ con perdita di p– caratteristico del celtico» (Gasca Queirazza G., Marcato C., Pellegrini G.B., Petracco Sicardi G., Rossebastiano A., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, UTET, Torino 1997, p. 466).
Così conclude Bonvesin da la Riva: «Alcuni però stranamente affermano che essa prese il nome di Mediolanum da un porco che vi fu trovato coperto in mezzo di lana» (Bonvesin da la Riva, Le meraviglie di Milano – De magnalibus Mediolani, Op. cit., p. 43, I, I).
Sulle interpretazioni di toponimi e animali devo dire che nel tempo si sono confezionati una scarpa e uno zoccolo, appaiando Milano e un cinghiale per ricavare una claudicante scrofa coperta per metà di pelame.
Il pensiero attuale
A ben vedere anche questo edificio dev’essere messo in lista per la tutela all’UNESCO assieme a Duomo e Castello. Così facendo -forse- si riuscirà a sollevarlo dall’attuale ruolo di “orinatoio-spaccio-dormitorio”.
Comunque, senza tante chiacchiere, recatevi sul posto e guardatelo, tanto di giorno quanto di sera: constaterete di persona il suo stato d’indegno degrado.
Converrete con me che questo edificio medievale va conservato e mantenuto nella sua integrità, senza superfetazioni o altri intenti. Esso rappresenta uno dei più bei momenti della Storia di Milano, quando essa splendeva di luce propria nel firmamento europeo.
Oggi non dev’essere il “gazebo” della “corrente d’aria colorata di turno”, né il tetto dei senzatetto, ma ciò che è e che ancora oggi rappresenta a dispetto della deculturazione. È, e deve, rimanere il terzo simbolo di Milano.
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