“I gas di guerra”
«L’edificio in discorso ha il pregio della sicurezza massima, però la sua costruzione è costosissima,
lunga, ingombrante. Converrà quasi sempre una via di mezzo.
Riducendo l’altezza della torre, il costo diminuisce ed i lavori divengono più rapidi. Non si ha più il
vantaggio, però, dell’ingresso posto nella zona atmosferica respirabile. È necessario, allora, che prima
del locale sotterraneo sia stabilita una serie d’anticamere per cui i tossici non penetrino nel rifugio.
Per di più, non si è in grado di rinnovare l’aria attingendo dall’esterno. Ci troviamo così -premessa,
naturalmente, la protezione opportuna contro gli altri pericoli- di fronte alle due difficoltà da vincere
perché un rifugio possegga i requisiti richiesti per la sua efficacia.
Anzitutto, bisogna che il locale sia accessibile anche quando l’atmosfera esterna è inquinata,
altrimenti non varrebbe nel caso in cui l’allarme venga dato in ritardo. Si può ottenere ciò, anche
ricorrendo ad una sola anticamera, purché si disponga dei mezzi opportuni a creare una corrente
atmosferica dall’interno verso l’esterno. Basta, a questo proposito, una forte riserva d’aria compressa
da mettere in libertà al momento opportuno.
La comunicazione fra l’anticamera ed il locale verrà stabilita solo quando nella prima non vi sia
traccia d’aria inquinata. In secondo luogo, poi, è necessario provvedere perché le persone raccolte nel
sotterraneo, chiuso ermeticamente, vi rimangano a lungo.
Per la rigenerazione dell’aria confinata, sono già in commercio apparecchi portatili -usati dai pompieri,
dai minatori, dai sommergibilisti- tanto semplici, quanto poco costosi.
Basterà predisporre una serie conveniente di tali apparati, perché la respirazione sia assicurata a
prescindere dalle comunicazioni con l’esterno. I rifugi saranno più o meno numerosi in proporzione alla
densità degli abitanti rimasti in città. Si allestiranno trasformando i sotterranei già esistenti.
Qualora non si abbiano locali alla profondità necessaria, si provvederà mediante lavori di riporto e di
rivestimento. Ogni cura dev’essere posta allo scopo di evitare le infiltrazioni che trasformerebbero il
ricovero creduto sicuro in un trabocchetto micidiale. La previsione della guerra chimica non porterà,
dicemmo, rivoluzioni assurde nell’edilizia urbana. Essa è soltanto un’altra spinta al rinnovamento in
corso d’esecuzione. Anche per quanto riguarda i rifugi, non sono necessari funambolismi costruttivi.
L’intensificarsi dei traffici intercittadini conseguente all’estendersi della province coperte di tetti, ha già
imposto -nelle metropoli di maggiore importanza- l’apertura di gallerie sottostanti al piano stradale.
La rete sotterranea, capace d’accogliere migliaia di persone, si presta molto bene agli adattamenti di
circostanza. Altrettanto si può dire dei locali adibiti a ritrovi pubblici che si trovano sotto ai palazzi
resistenti di molti piani. È ovvia la convenienza di promuovere tali costruzioni, da inserire nel quadro
delle prevenzioni da attuarsi con largo anticipo di tempo»
(Mandel R., I gas di guerra, Gorlini Editore, Milano 1932, pp. 143-146).