Cava d’argilla e armi di bronzo a Milano
Un tempo alla periferia di Milano esistevano numerose cave d’argilla. Una in particolare era stata aperta presso la storca Cascina Ranza, edificio presente agli inizi del XVIII e riportato nel Catasto di Carlo VI (Catasto Teresiano).
Sul finire del XIX secolo, proprio nel corso dell’estrazione a cielo aperto dell’argilla, ecco che le maestranze cominciano a rinvenire armi di bronzo di oltre tremila anni prima.
Di tale scoperta se n’è già parlato nel libro edito da Newton Compton: Forse non tutti sanno che a Milano…
Se ne riporta utilmente qualche passo:
«… Nell’Ottocento si scopre a Cascina Ranza un’armeria preistorica
Milano è la città della trasformazione e della cancellazione, della fretta per mantenersi al passo con le mode e gli stili architettonici in voga, nonché dell’insoddisfazione di vedere per troppo tempo un luogo o un edificio così come la storia ce l’hanno consegnati (…).
Certamente lo sviluppo urbano potrebbe tenere conto anche delle proprie radici storiche e culturali e senza preservare i gabinetti d’epoca varrebbe la pena conservare taluni importanti insediamenti, come quello presso la… spianata Cascina Ranza. Si trovava a sud ovest del Ticinese e dell’odierna via Conchetta, allora in aperta campagna e nei pressi di via Filippo da Liscate, nel popolare e popoloso quartiere Barona. Però, ora che guardo bene nella carta stradale di Milano, quella plastificata, al quadrante 10-J la via non compare. Accedo a Google Maps ed è sparita pure da qui; al suo posto c’è solo “Parco Russoli da Liscate” (…).
Nei pressi di Cascina Ranza, lavorando nella cava per estrarre argilla da mattoni di proprietà di Pietro Candiani, situata nel terreno di Lodovico Minorini, agli inizi del mese di dicembre del 1887 «si rinvennero vari bronzi ed una scure di pietra, dell’età delle palafitte Varesine, che è di transizione fra quella della pietra e quella del bronzo»1.
Chi scrive è un illustre studioso, Pompeo Castelfranco (Parigi 1843 – Milano 1921), professore di lingua e letteratura francese presso il Regio Collegio delle Fanciulle, con la vocazione per la paletnologia e un interesse per la massoneria, alla quale aveva aderito. È stato inoltre professore al Conservatorio di Musica e all’Università Luigi Bocconi, Regio Ispettore agli Scavi e ai Monumenti di Antichità della provincia di Milano, collaboratore titolare del Bullettino di Paletnologia, membro dell’Accademia dei Lincei e della Reale Accademia Svedese di Antichità.
Il Comune di Milano lo ricorda come uno dei più insigni studiosi di archeologia preistorica e protostorica della Lombardia e il «Fondo Pompeo Castelfranco», composto da poco più di ottocento documenti, manoscritti e fotografie, è conservato presso la Civica Biblioteca Archeologica e Numismatica di Milano (…).
Torniamo a Cascina Ranza. Alla fine del 1887, come si è detto, nonché a seguito di un intervento condotto da Castelfranco l’8 luglio dell’anno successivo, vengono recuperati i seguenti manufatti: «cocci di rozze stoviglie»; n° 1 scure di pietra “di serpentino granatifero, del peso di 143 grammi”; n° 2 grandi scuri; n° 2 spade, una intera e della seconda solo una parte; n° 1 frammento di lama; n° 2 pugnali, uno dei quali definito “magnifico” e del peso di 204 grammi; n° 7 coltelli-ascia; n° 4 scalpelli-ascia; n° 1 ascia a paletta; n° 7 cuspidi a cartoccio; n° 2 cuspidi di lancia2. Come vedremo, non sono gli unici bronzi ed altri si aggiungeranno nel giro di pochi mesi (…).
Nel 1889 il paletnologo scrive ancora: “Si recuperarono per le Raccolte del Museo di Brera altri oggetti di bronzo, provenienti dai pressi della Cascina Ranza, fuori porta Ticinese (cf. Notizie 1888, p. 719), e tra gli altri due lame di coltello, tre coltelli-ascie, diciannove cuspidi di lancia. In un piccolo scavo eseguito nella cascina predetta, si ebbero tre coltelli-ascie ed una cuspide di lancia, frammentata. Altri oggetti, tra cui una bella impugnatura di pugnale, vennero consegnati pel Museo sopra ricordato, dai signori ingegneri De Strani e De Simoni”7.
Cascina Ranza e le adiacenze hanno quindi restituito un cospicuo numero di oggetti riferibili ad un evidente insediamento preistorico, unico del suo genere nell’odierno territorio cittadino. In totale si salvano n° 1 arma in pietra (la scure), n° 52 armi in bronzo, n° 30 cocci di terracotta; presso la Cascina si recuperano, invece, sicuramente n° 4, forse n° 5, armi sempre in bronzo.
Esaminate le armi e fatti i debiti confronti con analoghi oggetti rinvenuti in Italia e in altre nazioni, l’illustre paletnologo conclude così il suo studio: “Il ripostiglio della Cascina Ranza costituisce a mio modo di vedere la più importante scoperta che sia fatta nell’ambito dell’attuale Comune di Milano, importante soprattutto per la storia primitiva di una città popolatissima, perché ci riporta al tempo in cui il territorio dove sorge attualmente Milano era frequentato dal medesimo popolo che aveva alcuni de’ suoi villaggi nel lago di Varese o da chi con essi si trovava in relazione diretta. È il più antico periodo verso il quale ci abbiamo fatto risalire le principali scoperte avvenute finora nel Comune di questa antichissima città, la cui fondazione viene dalla incerta tradizione attribuita a un Belloveso ed ai Galli”8» (Gianluca Padovan, Forse non tutti sanno che a Milano…, Newton Compton Editori, Roma 2016, p. 152-158).
Come già sopra accennato, Cascina Ranza è scomparsa e l’area non è stata tutelata, lasciando così che incuria, negligenza e una buona dose d’ignoranza cancellassero ogni memoria. E così si conclude nel libro:
«Diciamo che rispetto a due secoli fa si è regrediti, almeno dal punto di vista culturale. Alla ovvia levata di scudi che farà seguito a queste mie parole posso semplicemente soggiungere che non di solo pane si vive, ma anche di conoscenza e amore per la nostra storia, di desiderio di apprendere il nostro passato in funzione del presente. Mi vengono alla mente le parole di Platone, il quale scrisse così, pochi secoli dopo la fusione delle armi in bronzo della nostra Cascina: «“Solone, Solone, voi Greci siete sempre ragazzi, un vecchio fra i Greci non esiste!”. All’udire queste parole, egli chiese: “Ma che vuoi dire?”. “Siete tutti spiritualmente giovani”, rispose “perché nelle vostre menti non avete nessuna antica opinione formatasi per lunga tradizione e nessuna conoscenza incanutita dal tempo»13.
Con il nuovo millennio qualcheduno, però, non cede e l’Ecoclub, associazione interessata alla tutela del patrimonio metropolitano, si fa sentire. La voce è successivamente ripresa nell’articolo E la ruspa cancellò la città neolitica: “Un sito archeologico preistorico alla Barona, dove nell’800 furono recuperati reperti ora conservati al Castello Sforzesco. Ma di quel luogo, tra i più importanti della Lombardia, che ha restituito una sessantina di asce e spade, di armi da combattimento e da caccia appartenute ad un popolo che ha abitato qui nell’età del bronzo, 3600 anni fa, non resta più nulla. Il muro che segnalava il punto di quanto rimaneva della cascina Ranza è scomparso, fagocitato dal cantiere del villaggio universitario dello Iulm [Istituto universitario di lingue moderne. N.d.A.]. Ma c’è chi sta combattendo in tutti i modi perché non si annulli almeno la memoria. Gli abitanti della zona si sono accorti che in via Filippo da Liscate, dietro Romolo, quel cantiere si era mangiato anche il muro che segnalava l’importante insediamento”14.
Successivamente, in data 13 dicembre 2001, Emilia Franco (Presidente dell’Ecoclub), Giuseppe Scarano (Consigliere Zona 5) e Rita Monfredi (Consigliere Zona 6), inviano una lettera ai vari Sovrintendenti di Milano affinché si ripristini il sito archeologico di via Filippo da Liscate. Ancor’oggi tutto tace.