Bombardano Milano, rifugiati!

Gennaio 22, 2021 Off Di Archeologia del sottosuolo

Allestita nei locali sotterranei della Scuola primaria Giacomo Leopardi, in Viale Luigi Bodio n. 22, la mostra introduce al Rifugio Antiaereo N° 87, utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale.

I pannelli mostrano alcuni rifugi antiaerei milanesi, qualcheduno ricavato nei sotterranei del Castello Sforzesco, altri costruiti appositamente in cemento armato, come quello situato al di sotto del Palazzo delle Colonne in Via Giuseppe Verdi.

È stata anche installata una gigantografia gentilmente donata alla Scuola da Stefano Galli e Stefano Agazzi dell’Associazione Spirale d’Idee. Questa immagine “apriva” la mostra «Milano storia di una rinascita. 1943-1953 dai bombardamenti alla ricostruzione», a suo tempo allestita a Palazzo Morando (10 novembre 2016 – 12 febbraio 2017).

Come ha specificato Valentino Scrima nella conferenza pubblica «Milano muore sotto le bombe» (14 gennaio 2017, Palazzo Morando, nell’ambito della mostra fotografica), si cercò di cancellare innanzitutto il centro storico cittadino.

I bombardamenti a tappeto hanno suscitato pareri discordanti, seppure il quadro della faccenda sia sostanzialmente chiaro: rientravano nel programma bellico inglese e americano denominato «TERROR BOMBING».

Si mirava innanzitutto a colpire i civili, i centri abitati e a demolire il patrimonio storico e culturale dell’avversario. Le fabbriche non erano affatto un obiettivo primario, basti solo pensare che le famose acciaierie della Falck (Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck), situate nel polo industriale di Sesto San Giovanni, pochi chilometri a nord di Milano, non furono mai bombardate. Delle industrie di Sesto solo la fabbrica delle spolette della Breda fu colpita e nel resto del centro caddero pochissime bombe.

Le ricerche condotte dall’Associazione S.C.A.M. hanno in parte ricostruito il panorama sotterraneo destinato alla protezione dei civili e indagato una sessantina di rifugi antiaerei. Si auspica che questi possano un giorno definirsi in una rete di musei di loro stessi, affinché la gente ricordi.