ARCHEOLOGIA MINERARIA: note metodologiche. Terza parte
- La cava
Con il termine di cava s’indica lo scavo del materiale utile per le costruzioni civili e per estensione il luogo di lavoro, che può essere sia a cielo aperto sia nel sottosuolo. Abbiamo cave di materiali incoerenti (ghiaie, sabbie, pozzolane, etc.) e di rocce di origine magmatica (graniti, dioriti, porfidi, basalti, etc.), sedimentaria (conglomerati, arenarie, calcari, tufi, etc.) e metamorfica (gneiss, marmi, scisti, skarn, etc.).
Si distinguono in cave a cielo aperto, a loro volta suddivise a seconda del metodo consentito dal tipo di roccia e dalla sua giacitura, e cave in sotterraneo.
Le cave di alabastro della zona di Volterra (Toscana), coltivate già dagli etruschi, hanno fornito il materiale per la fabbricazione di pregevoli urne cinerarie (IV-I sec. a.).
Con il termine di latomìa nell’antichità si indicavano le cave di pietra; sono note quelle di Siracusa, citate da Tucidide, per essere state utilizzate come prigioni dai Siracusani (Latomìa dei Cappuccini) nel corso della guerra tra Sparta e Atene, nel V sec. a.: «Tutti quegli Ateniesi e alleati che avevano catturato furono gettati nelle latomìe, in quanto ritenevano che questo fosse il luogo più sicuro» [Tucidide, VII, 86,2].
Nel sottosuolo di Palermo vi sono le cosiddette “muchate” (termine dialettale di derivazione araba), ovvero cave di pietra la cui coltivazione è a pilastri abbandonati, anche su due livelli. Si hanno inoltre esempi di cava a forma d’imbuto (rovesciato), da cui si estraevano blocchi di calcarenite «chiamati durante il medioevo petra rustica o salvagia, venduta a carrozzate, e petra fracta o rupta venduta a salma» [Todaro 1988, p. 52].
Nel Centro e nel Sud Italia l’estrazione riguarda materiali pozzolanici, apprezzati fin dall’antichità per le caratteristiche fisiche e meccaniche, la cui geometria di estrazione, detta “a camere e pilastri” o “a pilastri abbandonati”, è rimasta in uso fino al Ventesimo secolo.