Alcune considerazioni sul rilevamento delle cavità artificiali
RILEVO QUINDI STUDIO!
di Gianluca Padovan
Può capitare che l’esplorazione di una cavità artificiale rimanga un momento “ludico-sportivo” e vada a tenere compagnia a tutta una serie di ricordi legati o meno alle operazioni sotterranee. Se invece desideriamo svolgere un lavoro scientifico all’esplorazione dovremo innanzitutto fare seguire il rilievo della cavità in oggetto.
Il rilievo di una cavità artificiale è un ragionevole e accettabile compromesso tra quello che noi intendiamo rappresentare e quelli che sono i ‘fattori collaterali’ dati dal tempo a disposizione e dall’agibilità dell’ambiente. Possiamo dire che disponibilità economica, personale specializzato e tempo costituiscano il trinomio di base per l’ottenimento di un ottimo rilievo.
Ad esempio, un condotto idraulico può presentare cedimenti strutturali, tratti sifonanti, liquami. Impiegando tempo, denaro e personale competente sarà possibile svuotarlo e metterlo in totale sicurezza affinché lo si possa rilevare e studiare.
Attenendoci alla realtà, noi avremo un lavoro che spazia dal ‘rilievo ottimale’ al ‘rilievo speditivo’. Fermo restando che l’interazione di molteplici fattori generalmente concorre all’imprecisione del lavoro o alla sua mancata effettuazione. Realisticamente, vedo che la precisione del rilievo poggia sulla risultante di tre fattori: sopportazione psicologica all’ambiente, allenamento, attrezzatura impiegata (naturalmente chi opera deve almeno conoscere i rudimenti della materia).
La conditio sine qua non per lo studio delle opere ipogee è il poterle esaminare in prima persona. In caso contrario, la documentazione raccolta dev’essere quanto più completa possibile.
Note al rilievo in due distinte situazioni: Bergamo e Follonica
Trattandosi in vari casi di opere interne ai centri urbani, occorrerà eseguire rilievi planimetrici accurati, quotandoli e posizionandoli in modo da poterli correlare agli impianti soprastanti. Se realizzati su supporto CAD, la sovrapposizione alla cartografia di superficie risulterà più semplice e generalmente precisa. Non voglio entrare nel merito della strumentazione da utilizzare per l’effettuazione del rilievo, tantomeno sull’opportunità di restituirlo o meno manualmente, perchè a seconda dei fattori contingenti si adotterà il sistema consono.
Ad esempio, il rilievo della Cisterna di Piazza Mercato delle Scarpe (CA 00003 LO BG) a Bergamo, è stato restituito su CAD in quanto interessava capire la sua collocazione al di sotto del tessuto urbano. Quest’ultimo era già stato riportato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Bergamo su medesimo programma grafico, consentendo quindi la ‘sovrapposizione’ . Per quanto riguarda la scala da utilizzare, posso dire che generalmente la 1:50 è ottimale. Anche qualora gli ambienti risultino vasti.
Il lavoro nella menzionata cisterna si è potuto svolgere in sicurezza, in quanto l’opera era stata restaurata e consolidata in tempi relativamente recenti. Inoltre l’acqua presente (cinque metri di profondità) proveniva dall’acquedotto comunale. Grazie anche alla vastità dell’ambiente, abbiamo introdotto un gommone da cinque posti, un canotto da due e un faro da 2000 watt per l’illuminazione supplementare; hanno operato contemporaneamente sei speleosub (uno con telecamera subacquea) e quattro speleologi di supporto. Nonostante questo, un punto è venuto a mancare: abbiamo preferito non risalire la canna del pozzo nella parte aerea. In primo luogo avremmo dovuto analizzarne l’aria; inoltre il palo telescopico da risalita (da dieci metri) sarebbe stato quanto meno problematico da stabilizzare senza dover fissare i tasselli a espansione (fix rock) nella struttura stessa.
Non così è stato invece possibile operare a Follonica (Grosseto), nell’area siderurgica denominata Ex-Ilva. Si può affermare che la sua storia edilizia abbia inizio nel 1546, con la costruzione di una ferriera in un edificio che già ospitava un mulino. Successivamente, in una carta geografica del territorio massetano-follonichese del 1618, Follonica appare composta da due edifici e da un bottaccio (bacino di raccolta delle acque) situati lungo il fiume Pecora e da un edificio nei pressi della marina. Il paese moderno si è sviluppato attorno, e l’Ex-Ilva risulta oggi un interessante esempio di Archeologia Industriale, in gran parte da recuperare, che si estende su di una superficie di circa sette ettari. La finalità della ricerca era di prendere visione, documentare e rilevare gli ambienti sotterranei per comprendere sia il sistema delle gore di servizio ai forni, alle ferriere e ai distendini dal XVI secolo in poi, che lo stato attuale del Fosso della Petraia e del Fosso delle Ferriere, a seguito delle passate sistemazioni. Nel corso di quasi cinque secoli l’area è stata infatti oggetto di varie ristrutturazioni e ridefinizioni degli spazi e degli edifici.
Del tratto del Fosso Petraia, situato lateralmente all’edificio denominato “Fonderia n. 1 già Arsenale della Condotta”, è stata effettuata la planimetria. Degli ambienti sottostanti all’Edificio del Forno di San Ferdinando si è invece eseguito il solo rilievo in pianta di una parte delle opere sotterranee, mentre si è provveduto a stendere una poligonale aperta delle gore uscenti dall’area dell’Edificio con il solo fine di stabilire i tracciati dell’impianto principale e le sue diramazioni, e poter individuare in superficie le originarie uscite e i ‘punti luce’. E solo in parte dei restanti tratti ipogei si è effettuata l’esplorazione. In questo caso le operazioni di rilevamento sono state impedite dalla presenza di acque stagnanti provenienti dal sistema fognario che in alcune gore sfioravano il cervello di volta. Nonostante l’impiego di stivali di gomma con salopette, tute e maschere di gomma con appositi filtri per vapori organici, per poter completare il lavoro occorrerà prima svuotare tali ambienti e rimuovere i fanghi.
L’interpretazione
Considerando la funzione assolta da un manufatto, possiamo dire che essa non sia sempre di facile determinazione. E se possiamo plausibilmente dedurla da oggettive considerazioni, può capitare che la comprensione di alcune sue parti rimanga all’oscuro. Almeno ad un primo esame.
Che l’ipogeo sottostante Piazza Mercato delle Scarpe sia una cisterna è palese. Limitatamente alle recenti condizioni, l’approvvigionamento idrico era garantito dall’allacciamento alla rete di distribuzione dell’acquedotto moderno e fino alla fine del XX secolo la funzione era di garantire una riserva idrica in caso d’incendio. Recentemente è stata svuotata e rimane oggi visitabile. Dal XV secolo, secondo le fonti storiche, il serbatoio era alimentato dall’acquedotto Magistrale e poteva contenere circa 1.170 metri cubi (25.000 brente bergamasche). Quindi non era alimentato con acqua meteorica. Se la sua costruzione avvenne nel XV secolo, il suo impianto lascia presupporre l’ampliamento di un precedente ‘ambiente’. L’impressione è dettata, a prima vista, dalla pianta non regolare. In corrispondenza dei due profondi pozzetti quadrangolari, al termine del corridoio che gira a ferro di cavallo attorno alla camera, la parete di questa si allarga sensibilmente. Come se in origine si trattasse di un vano a sé stante. Resta poi da definire la funzione assolta dall’apertura circolare sulla volta, accanto alla canna del pozzo. Una maggiore comprensione potrà venire data dall’esame delle fonti storiche.
Passiamo ad un altro caso, questa volta situato presso l’abitato di San Giovenale (Blera, VT). Si tratta di un ipogeo di cui non siamo in grado di fornire un’interpretazione certa. E’ posto sulla piattaforma tufacea su cui è stata identificata l’acropoli, tra il castello medievale e la fossa, nel fianco sud a ridosso del ciglio roccioso. Il fronte è mancante, a conseguenza del movimento franoso del ciglio stesso. S’individuano un breve tratto di cunicolo, un secondo lungo oltre 19 m e un vano con colonna cilindrica, ricavata come risparmio nella matrice; non si rilevano tracce di rivestimenti interni. Seppure parzialmente interrati, i due cunicoli colpiscono per la precisione dello scavo unita alla ridotta larghezza (rispettivamente 40 e 50 cm.). Il secondo piega nella parte terminale ad incontrare presumibilmente una seconda tratta scavata in senso opposto. Il vano appare rimaneggiato, con vari incavi sia nelle pareti che nella colonna stessa. L’impressione è che non siano in fase tra loro. Ci è stata riportata la voce che tale opera parrebbe collegata ad un tratto di cunicolo presente nella fossa (attualmente percorribile per pochi metri) e all’ipogeo definito semisotterraneo e posto sopra una sorgente. Per tentare di capire se il lungo cunicolo fosse deputato al trasporto delle acque occorrerebbe almeno svuotarlo dall’interro e controllarne la pendenza.
Per concludere, occorre ricordare che, esaminando un’opera ipogea, non sempre siamo in grado di stabilirne l’intenzione, ovvero che cosa si sia voluto realizzare con lo scavo. Una sua corretta restituzione grafica ci consentirà di documentarla, di ‘ragionarci sopra’, di lasciare ai posteri l’interpretazione o il ‘semplice’ proseguimento degli studi.