BUNKER AL PASSO… DEI SALASSI (seconda parte)
Eravamo rimasti al Passo del Piccolo San Bernardo, ovvero al Passo dei Salassi, e alle fortificazioni italiane degli anni Trenta.
Dopo aver dato un’occhiata al fianco ovest delle opere di sbarramento guardiamo quello ad est (una visione complessiva la potete cogliere alla foto n. 1).
Abbiamo un primo tratto di sbarramento anticarro composto da prismi di calcestruzzo che segna un primo dosso, a cui segue il muro con fossato antistante che marca un secondo dosso. Scende poi in una vallecola tra il secondo e il terzo dosso dove s’interrompe per lasciare transitare un sentiero, riprendendo poi fino alla china successiva. Qui, tra il terzo dosso e il fianco del Lancebranlette, il varco è sbarrato da un’altra serie di prismi, sempre disposti su tre file. Oltre, il muro riprende arrampicandosi trasversalmente, ma rettilinearmente, lungo il fianco erboso e scosceso del Lancebranlette.
Se accedete a Google Maps o a Google Earth potete vedere benissimo l’articolazione dello sbarramento.
Il muro è un’opera sia anticarro sia anti fanteria. Vista dall’esterno, ovvero dalla parte francese, si presenta con uno spalto di terra e pietrame coperto dalla cotica erbosa, un fosso che in origine doveva essere largo un paio di metri e profondo almeno 2,5 – 3 metri, un muro in calcestruzzo e un riporto di materiale anch’esso ricoperto di cotica erbosa. All’interno della fascia difensiva, a pochi metri di distanza dal muro, vi sono due file di ganci metallici a cui dovevano essere assicurati gli ostacoli in filo di ferro spinato. Oltre vi sono resti di “buche” per la fanteria e resti di attacchi per le teleferiche; in corrispondenza del piccolo varco vi era una postazione in calcestruzzo, oggi quasi completamente cancellata.
A nord del muro, in posizione dominante, vi sono i resti di quattro “bunker”, sventrati dall’esplosivo. In realtà, a veder bene, si tratta di un unico complesso sotterraneo dotato di quattro postazioni in superficie, due delle quali avevano sicuramente delle scudature… dal momento che le abbiamo rinvenute tra le macerie. Si tratta quindi della classica “opera in caverna” italiana del Vallo Alpino.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma per il momento può bastare e vi lasciamo alla visione delle foto scattate.
Gianluca Padovan (Ass.ne S.C.A.M. – F.N.C.A.)