1914 – 1918: IL GENOCIDIO EUROPEO -parte seconda-

Giugno 12, 2021 Off Di Archeologia del sottosuolo

Capire ciò che è stato

Questa seconda parte è dedicata alle perdite in vite umane italiane che ha causato la Prima Guerra Mondiale, che a tutti gli effetti si potrebbe definire una “guerra civile”.

A quasi un secolo di distanza dal termine della Prima Guerra Mondiale in Italia non è ancora dato di sapere quanti siano stati veramente i morti e i feriti tra i militari e i civili. Il reale costo della guerra in termini di vite umane non viene affatto reso noto e ritengo che questa sia una grave “negligenza”.

D’altra parte, nell’arco di un secolo, le cifre relative ai soli caduti militari è soggetto all’effetto fisarmonica: da 350.000 a 650.000, per passare a poco più di 450.00 e tornare a “lievitare” fino alla soglia dei 600.000, secondo taluni “storici”. Vediamo di fare un po’ di luce sulla questione fornendo dei dati.

Il 28 luglio 1914 L’impero d’Austria e Ungheria dichiara guerra alla Serbia e segna l’inizio della Prima Guerra Mondiale, con l’entrata in guerra di altre nazioni europee nel mese di agosto: Germania, Russia, Francia, Inghilterra, Belgio, etc. Il regno d’Italia, già alleato con gli imperi austroungarico e germanico (Imperi Centrali), rompe il trattato l’anno seguente schierandosi con gli avversari. Il regno d’Italia entra quindi in guerra accanto all’Intesa (Francia, Inghilterra, impero russo, etc.) il 24 maggio 1915 e questo senza dimenticare che alla Germania viene invece dichiarata la guerra l’anno seguente, ovvero nel 1916. Il Regno d’Italia chiude ufficialmente le ostilità alle ore 15.00 del 4 novembre 1918.

Il Regio Esercito Italiano mobilita in totale 5.728.277 uomini, dei quali 4.199.542 operativi sui seguenti fronti di guerra: albanese, italiano, francese, macedone.

Quarantarè mesi di guerra costano al Popolo Italiano un tributo in vite umane enorme, ma tutt’oggi ancora oggetto di controversie, perché non si è stabilito con esattezza non solo quanti siano stati i morti, ma anche i feriti, gli invalidi permanenti e i fucilati, tanto tra i militari quanto tra i civili. Le cause delle morti sono state determinate dalle armi sui campi di battaglia, dalla permanenza in campo di concentramento, dai suicidi, dalle esecuzioni (sia sommarie, sia a seguito di processi), dagli eventi climatici (gelo, valanghe, etc.), dalle privazioni, dalla malnutrizione, delle malattie, dalle epidemie.

I dati che non sono forniti dalla “propaganda”

Chi ricorda i centomila soldati italiani morti in prigionia? Chi vuole ricordare che i Savoia impedirono di rifornirli di generi di sussistenza e di medicinali anche attraverso la Croce Rossa fino ai primi mesi del 1918? Il re, il suo entourage e il suo stato maggiore li consideravano disertori, non prigionieri, e al loro rientro in patria intentarono contro ognuno di loro il processo per diserzione.

Leggendo il libro-denuncia di Attilio Loyola, La prigionia degli italiani in Austria, nell’Estratto dell’Allegato N.4 – Relazione del cappellano militare don Abbo Domanico, dal campo di prigionìa di Mathausen, viene specificato che a seguito del crollo del fronte italiano determinato dello sfondamento avvenuto a Plezzo-Caporetto, il numero dei decessi nei campi di prigionia sale improvvisamente e in modo quasi esponenziale: «Di fronte ed in proporzione al numero delle malattie sta naturalmente il numero dei morti, la cui media mensile, mentre dal mese di luglio 1916 all’ottobre 1917 non giunse mai a 20, crebbe a dismisura dopo l’arrivo degli ultimi prigionieri: così, mentre il numero dei decessi è di 11 nel mese di settembre e di 17 nell’ottobre, nel novembre sale a 122, nel dicembre a 238, nel gennaio 1918 a 359, nel febbraio a 388» (Attilio Loyola, La prigionia degli italiani in Austria, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1918, p. 32).

A cinquant’anni dal termine del conflitto il Maggiore Generale, medico e professore, Ferruccio Ferrajoli, stende un resoconto delle perdite abbastanza attendibile. Purtroppo non considera il numero di soldati morti in prigionia per gli stenti causati da denutrizione e malattie, ovvero circa 100.000. Difatti il medico parla di soli feriti sul campo di battaglia e successivamente morti in prigionia (16.000). E l’omissione non è casuale, perché i soldati che erano stati presi prigionieri venivano considerati, come già detto, alla stessa stregua dei disertori. Ecco i dati di Ferrajoli in sintesi:

«Il totale delle vite umane perdute in questa guerra dall’Italia, ammonta alla enorme cifra di 680.071, delle quali 406.000 per fatti bellici. Il solo Esercito contò 317.000 morti per ferite sul campo di battaglia, su un totale di morti per ferite – compresi, cioè, i morti per ferite presso gli ospedali o in casa propria (69.000) o in prigionia (16.000) – di ben 402.000. I feriti furono 950.000, non comprendendo nel computo i feriti rimasti in prigionia, calcolati approssimativamente a circa 40.000, ed i feriti curati ai corpi: tale cifra, di 950.000, rappresenta il 16,57% del totale dei mobilitati. Gli invalidi, a seguito di ferite o di malattie, furono in complesso, 462.812, il che porta ad un totale di morti e di invalidi di ben 1.142.883» (Ferruccio Ferrajoli, Il servizio sanitario militare nella guerra 1915 – 1918, in Servizio Sanitario dell’Esercito, Giornale di Medicina Militare, Fasc. 6, novembre-dicembre, Roma 1968).

Mussolini s’indigna… per propaganda

Pur non fornendo dati probanti, ecco lo stralcio di un “roboante” scritto apparso a firma di Benito Mussolini (datato “2 ottobre XIII”), il quale parrebbe di aver dimenticato d’essere stato un interventista: «Quando nel 1915 l’Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse! Ma dopo la vittoria comune, alla quale l’Italia aveva dato il contributo supremo di 670 mila morti, 400 mila mutilati, e un milione di feriti, attorno al tavolo della pace esosa non toccarono all’Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale» (Celso Maria Garatti -a cura di-, Italiani di Mussolini in A.O., Licinio Cappelli Editore, Bologna 1937-XV, pp. 13-14).

La rivista Epidemiologia & Prevenzione ha cercato di fare il punto sulle perdite della “Grande Guerra” esponendo i dati raccolti da alcuni studiosi. Ma le cifre non parrebbero definitive, considerando l’elevato, ma impreciso, numero di soldati morti in prigionia, a cui andrebbe sommato quello dei civili italiani anch’essi detenuti in campi stranieri. Vi sono poi i morti per esecuzioni sommarie, per decimazioni e a seguito di processi, il cui numero viene generalmente sottostimato. Ma dei soldati italiani fatti ammazzare dai propri superiori, spesso senza concreta ragione e senza processo, non se ne parla affatto volentieri. Basti pensare alle sole esecuzioni sommarie condotte nel corso della ritirata a seguito della disfatta di Plezzo-Caporetto. Ecco i dati in sintesi:

«950.000-1.050.000 feriti, 463.000 dei quali hanno riportato menomazioni permanenti; 580-600.000 prigionieri; 2.500.000 di ammalati. A queste morti vanno aggiunte quelle di italiani caduti combattendo in eserciti stranieri: 24.366 italiani sudditi austriaci fino al 1918 caduti nelle file dell’esercito austro-ungarico (11.318 dei quali trentini); i circa 300 volontari garibaldini tra morti e dispersi caduti in Francia con la Legione straniera francese prima del 24 maggio 1915; un numero incerto, forse un centinaio, di cittadini italiani morti combattendo negli eserciti alleati, principalmente francese e statunitense, ma anche britannico, canadese e persino sudafricano. I militari condannati durante la guerra sono stati 170.064; 750 i fucilati dopo regolare processo, altri 350 circa a seguito di esecuzioni sommarie accertate; mentre un numero imprecisato, rimasto vittima di esecuzioni eseguite senza che se ne potessero registrare i nominativi, è rientrato nel conteggio delle perdite come morti in combattimento. Ai fucilati vanno aggiunti i condannati: morti in prigionia (stimabili in circa 400, considerando che sono stati 2.384 i prigionieri di guerra condannati); in carcere (nel settembre 1919 vi erano 60.000 rinchiusi nelle carceri militari, 40.000 dei quali scarcerati per effetto dell’amnistia); in latitanza» (Franco Carnevale, La Grande Guerra degli italiani, in Epidemiologia & Prevenzione, Associazione Italiana di Epidemiologia, novembre-dicembre n. 6, Milano 2014).

Invece: «Un dato sicuro è costituito dalle 655.705 pensioni di guerra versate ai familiari dei caduti al giugno 1926. Un numero che, tuttavia, non considera due tipologie di morti per i quali la pensione non è stata erogata: gli esclusi per indegnità, vale a dire i fucilati e i morti condannati per reati vari, e i morti privi di parenti aventi titolo a ricevere la pensione di reversibilità» (Ivi).

Fine SECONDA PARTE.

Liete riflessioni.

Gianluca Padovan

 

Le prime tre foto sono state scattate ad un elmetto italiano “Modello Adrian” alla Libreria Militare di Milano.

www.libreriamilitare.com

                         

 

Le foto alla mazza ferrata austriaca sono state scattate nel magazzino dell’ex Museo di Storia Contemporanea di Milano. La testimonianza raccolta afferma che nel 1995 arrivò “da Roma” la telefonata che impose di togliere dai musei di Milano tutte armi delle due guerre mondiali. Questa si chiama “cancellazione della memoria”.