1914 – 1918: IL GENOCIDIO EUROPEO -parte prima-
Una marea di falsa propaganda
La profusione di testi che parlano della Prima Guerra Mondiale ha dell’incredibile. Un secolo di carta stampata minuziosa, dettagliata, circostanziata, è stato diligentemente redatto nell’analisi d’ogni particolare: come confezionare un pettine per i pidocchi che rimuove le lendini per consentire di raccoglierle, d’esaminarle, “spaccarle in quattro” e presentarle in ogni aspetto al lettore, al pubblico… al Popolo. Un secolo di libri di testo dalle primarie all’università esplicita come sonnifero il ricordo della guerra mondiale combattuta dall’Italia dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918.
La pervicacia con cui si draga il fondo della memoria oramai solo scritta e materiale (residuati bellici) mostra l’affanno con cui, dopo cent’anni, si vuole ancora giustificare un certo quantitativo di morti, feriti e invalidi permanenti i quali, mano a mano che il tempo passa, diminuiscono fino a dissolversi. Le cifre del disastro, dell’eccidio, svaporano per effetto della decomposizione culturale e spirituale a cui si sottopone il Popolo e a cui il Popolo si lascia bovinamente sottoporre. L’unica cosa che acquista sempre più valore sono i sopraccitati residuati bellici, anch’essi entrati nel mercimonio delle cose del passato, vecchie, arrugginite e sbrindellate. Ma costose perché anche in questo campo, quello del “collezionismo”, si dà enorme valore pecuniario a ciò che di “valore” non ne ha perché vecchio, consunto, ruggine, stazzonato. Si dà enorme valore pecuniario a ciò che non ne deve avere, perché le testimonianze della nostra Storia non hanno prezzo, in quanto possiedono intrinsecamente il valore del Nostro passato. Dovrebbero essere raccolte, catalogate, messe a disposizione del Popolo affinché siano viste e meditate. Non commercializzate dai cugini poveri degli strozzini.
Quasi nessuno s’azzarda a scrivere che il Popolo Italiano e il suo parlamento-fantoccio non volevano assolutamente entrare in guerra: se il Parlamento avesse contato qualche cosa in guerra non si sarebbe entrati. La propaganda interventista ha potuto beneficiare di soldi a profusione per agitare innaturalmente gli animi degli Italiani e spingere la Nazione alle armi, ma il suo solo apporto non sarebbe bastato. Difatti il trattato con la Triplice Alleanza non prevedeva che l’Italia entrasse in guerra, perché nessuna delle tre nazioni era stata attaccata. E vista la situazione generale l’Italia avrebbe comunque ricevuto le così dette “terre irredente”, anche se fosse rimasta neutrale ed anche in caso di sconfitta dell’Austria-Ungheria e della Germania.
Ma, in ogni caso, il classico “ettaro di terra” non vale affatto una vita umana. I contadini lo coltivano, le industrie e le banche ci speculano sopra.
L’entrata del Regno d’Italia in guerra è stata definita un “colpo di stato” operato da re Vittorio Emanuele III e dalla sua ristretta corte d’uomini di fiducia. Sull’argomento si legga utilmente il lavoro del magistrato veronese Marco Zenatelli, Breve storia di un colpo di stato dalla Triplice al Patto di Londra.
Ecco qualche utile passo: «Come si sia giunti a una deliberazione parlamentare favorevole al governo e quali forze anche esterne al parlamento siano entrate in realtà in campo per superare trionfalisticamente l’ostacolo della seduta del venti maggio, che sembrava invece a un certo punto uno scoglio apparentemente insormontabile, mai è stato del tutto chiarito e ormai ben difficilmente potrà essere disvelato. Tra le varie ipotesi si parlò anche dell’influenza del denaro francese[68] e di pressioni operate dalla massoneria inglese. Non a caso, dall’estate del 1914, il gran maestro della massoneria Ettore Ferrari aveva sposato senza riserve l’intervento a fianco dell’Intesa imponendolo agli affiliati, pena, in caso di mancato allineamento, la radiazione e la pubblicazione sulla stampa dei nomi dei radiati» (Marco Zenatelli, Breve storia di un colpo di stato dalla Triplice al Patto di Londra. L’intervento italiano nella guerra europea, Gaspari Editore, Udine 2014, pp. 99-100).
Per quanto concerne il pensiero e la linea politica e personale di Benito Mussolini: «In Mussolini confidente della polizia francese, pubblicato nel 1926 dall’anarchica Maria Rygier, vicinissima a Mussolini nel fatidico anno 1914/1915, si sostenne che Mussolini, durante uno dei soggiorni all’estero come esule per ragioni politiche, fosse stato avvicinato e assoldato ai servizi francesi affinché, utilizzan[d]o la sua abilità nel condurre l’opinione pubblica sulle sue posizioni, si adoperasse per staccare l’Italia dalla Triplice, in tal modo spiegandosi la sua conversione da ultra-internazionalista e socialista a interventista» (Ibidem, nota 68).
Zanatelli precisa: «E fu proprio nel tentativo di disinnescare sul nascere ogni possibile iniziativa tesa a fermare l’ormai ineluttabile deriva bellicista, che, dopo la sollecitazione del re, la sera del 9 maggio [1915. N.d.A.] il ministro del Tesoro Carcano, volutamente scelto per i suoi vecchi legami con Giolitti, ebbe con lo statista subalpino un incontro. Nell’occasione, Carcano, appositamente istruito da Sonnino, a nome del governo, lo mise ufficialmente a conoscenza, senza peraltro rivelargli l’esistenza e i precisi obblighi contenuti nel Patto di Londra, che la decisione di intervenire contro l’Austria era già stata presa dal governo, confermandogli che il trattato della Triplice era già stato denunciato e, circostanza quest’ultima che turbò particolarmente Giolitti – che si rese conto solo ora come la questione non coinvolgesse ormai più esclusivamente l’esecutivo – che anche il re era pienamente compromesso con la decisione di intervenire, avendo scambiato telegrammi in tal senso con i capi di Stato dell’Intesa senza prudenzialmente attendere il pronunciamento del parlamento» (Ibidem, p. 103).
Fine PRIMA PARTE.
Liete riflessioni.
Gianluca Padovan
Le foto sono state scattate nel magazzino dell’ex Museo di Storia Contemporanea di Milano. La testimonianza raccolta afferma che nel 1995 arrivò “da Roma” la telefonata che impose di togliere dai musei di Milano tutte armi delle due guerre mondiali. Questa si chiama “cancellazione della memoria”.
Il sottostante casco da aviatore è appartenuto a Francesco Baracca.