1522: TRINOMIO VINCENTE (sesta parte)

Novembre 9, 2021 Off Di Archeologia del sottosuolo

1522, TRINOMIO VINCENTE: FOSSATO, ARCHIBUGIO E MILIZIA MILANSE

… Attorno alla Bicocca si batterono come leoni per la sopravvivenza del Ducato

Tratto da: Gianluca Padovan, Forse non tutti sanno che a Milano…, Newton Compton, Roma 2016.

… e la milizia meneghina tiene il campo contro gli avversari

L’alba sorge sui campi milanesi della Bicocca e gli uomini sono pronti non già ad arare i campi, ma a scannarsi a vicenda. Le donne contadine, invece, andranno a nascondersi prima d’essere viste, prese e violentate.

Il marchese di Pescara, Ferdinando Francesco d’Avalos, fa uscire dal quadrilatero imperiale un contingente di cavalleria per controllare le circostanze, ma avvistato dalle truppe di Giovanni de’ Medici è attaccato. La zuffa s’accende accanita e con esito incerto; escono dai ripari alcune compagnie di archibugieri spagnoli e tedeschi per dare man forte, ma le truppe del de’ Medici si sganciano perché oramai gli Svizzeri si sono messi in posizione e così gl’Imperiali sono costretti a rientrare precipitosamente nei ranghi.

Come già detto, dietro il parapetto eretto lungo il lato nord gli archibugieri sono schierati su quattro file e il rientro precipitoso fa sì che Spagnoli e Tedeschi si trovino tra loro mescolati. Hanno l’ordine di non sparare se non dopo un concordato segnale e lo faranno poi in quest’ordine: una volta che la prima fila avrà scaricato le armi contro l’avversario si abbasserà sulle ginocchia per ricaricare e così faranno egualmente la seconda e la terza fila. Fatto fuoco anche la quarta, la prima fila avrà le armi cariche e rimessasi in piedi sparerà ancora e così via. Come scrive Paolo Giovio: «quasi con perpetua tempesta di palle, accio’ che prima che si venisse alle mani, fossero abbattute le fanterie de’ nimici». Colonna e i suoi ufficiali sanno benissimo che un fuoco a ripetizione degli archibugi è il sistema migliore per arrestare l’avanzata di una fanteria alla carica. I cannoni, se non sono in gran numero e ben orchestrati, aprono senza dubbio larghi vuoti, ma per la lentezza del caricamento non consentono la continuità di sparo utile. Le ultime battaglie di Marignano e dell’Ariotta hanno senza dubbio “fatto scuola”… ma non per tutti.

I cannoni svizzeri tuonano contro la difesa nord della Bicocca e dopo alcune salve le fanterie dei Cantoni si lanciano all’attacco spalleggiate dagli archibugieri veneziani. A pochi metri dalla strada che marca il fronte terrapienato sono investiti dalle ripetute scariche degli archibugieri e dei cannoni imperiali al punto che «in un momento di tempo furono afflitti, e oppressi, che non pure le squadre, ma le compagnie intere in uno empito ruinarono a terra».

Il micidiale fuoco a ripetizione apre larghi vuoti tra gli Svizzeri, i quali comunque continuano nella carica passando sopra i caduti e cadendo a loro volta nella fossa della strada o riversi ai piedi del parapetto. Seppure in pochi, riescono comunque a superare in qualche punto gli ostacoli gettandosi sugli archibugieri le cui fila si scompaginano, ma sono arrestati dai picchieri spagnoli e tedeschi intervenuti prontamente ad arginare le falle. Intanto gli archibugieri veneziani s’arrestano sul bordo della strada oramai colma di cadaveri e non si lanciano ad assaltare a loro volta il parapetto.

Il corpo a corpo s’accende furibondo e Arnold von Winkelbriend, scavalcato l’argine, entra nel quadrilatero e cerca con lo sguardo Georg von Frundsberg nella mischia. Ne richiama l’attenzione gridando male parole e insulti al suo indirizzo e gli si scaglia contro colpendolo con la punta dell’alabarda in una coscia. Ma non ha tempo d’esultare perché a sua volta è trafitto a morte da alcuni Lanzichenecchi vicini.

“Spagnoli” e Tedeschi arginano dunque l’assalto e ricacciano indietro gli Svizzeri, «quella squadra d’huomini arditi, la quale con furia pazza era entrata innanzi»; nello scontro il marchese del Vasto è ferito a un braccio.

Gli Svizzeri si ritirano lasciando sul campo circa tremila fanti e per l’esattezza ricorda Giovio che «Nel primo assalto o poi di ferite morirono circa tremila Svizzeri, e fra questi quattordici Capitani conosciuti».

Nel frattempo, seppure in leggero ritardo sui tempi e con gli Svizzeri già all’assalto, Thomas de Foix signore di Lescun piomba alle spalle degli Imperiali attaccando l’accampamento da sud. Il ritardo è probabilmente imputabile al fatto che le sue truppe hanno dovuto serpeggiare tra i campi allagati e superare almeno due canali.

Le sopravvesti con le croci rosse ingannano momentaneamente la milizia milanese tanto da permettere ai Francesi di giungere indisturbati fino all’accampamento. Poi lo scontro s’accende furioso. A questo punto gl’Imperiali s’infilano addosso e sugli elmi fasci d’erba e spighe, per differenziarsi dagli assalitori che portano la “falsa” sopravveste. Al proposito così scrive Guicciardini: «scoperse anco prestamente Prospero l’arte di Lautrech, e per ciò fatto comandamento a’ suoi, che si mettessero su la testa dei fasci di spighe e d’erbe, fece inutile le insidie sue».